Francia, 1865. La storica rue de Sèvres, tra le più antiche strade parigine, è una vivace e sempreviva giostra di passanti, una folla vociante diretta a passo veloce verso l’Au Bon Marchè, lo storico grande magazzino di proprietà del buon vecchio Aristide Boucicaut. Una clientela composita, certo, ma, soprattutto di giovedì, ecco emergere al suo interno un battaglione di corpulente massaie con prole al seguito. Non un giorno a caso il giovedì, dato che, allora, i piccoli studenti potevano godere di un pomeriggio di vacanza dai banchi di scuola. E’ proprio in uno di questi giovedì parigini del 1865 che la storia moderna delle figurine ha avuto il suo inizio. E’ tra gli scaffali ricolmi di merce dei magazzini Au Bon Marchè che la tipica espressione Celò, mi manca sarà stata forse per la prima volta pronunciata. Era nato il collezionismo di figurine. L’idea del sagace Boucicaut, corpulento commerciante tutto d’un pezzo, era in effetti alquanto semplice nella sua genialità: aumentare le visite ai propri magazzini facendo leva su quella fascia di clientela, i bambini, maggiormente corruttibile. Ogni giovedì pomeriggio ad un qualsivoglia acquisto si accompagnava infatti il dono di una figurina colorata, con la promessa di aggiungerne una nuova la settimana successiva. Successo. L’esempio di Boucicant trovava subito una larga schiera di imitatori, tra i quali, ad emergere, la Liebig’s extract of meat company, azienda specializzata nel commercio della carne in scatola che dava subito alle stampe la più famosa e longeva raccolta di figurine della storia del genere. Nata nel 1872 e conclusasi nel 1975 può contare la bellezza di undici mila soggetti pubblicati, con alcune serie quotate al giorno d’oggi a prezzi più che dignitosi. Elevati. E l’Italia?
Nonostante qualche sparuto esemplare esportato da Francia e Germania già sul finire dell’Ottocento, bisognerà aspettare qualche decennio per assistere all’esplosione del fenomeno. Solo nel 1937, l’Italia sarà infatti attraversata da una vera e propria ossessione da figurina. La caccia al Feroce Saladino poteva dirsi iniziata.
"La satira contenuta in questa specie di grottesco musicale, ha ormai perso gran parte dell'attualità, in seguito alle disposizioni equalitarie sulle figurine e ha quindi un sapore storico. Ma il ricordo della febbre saladinica che percorse la penisola un anno fa è ancora così vivo che quelli che ne furono affetti, non potranno non gustare i riferimenti all'epidemia di cui il film è pieno"
Così scriveva il giornalista Sandro De Feo nel suo commento al Il Feroce Saladino, pellicola del ’37 girata da Mario Bonnard e con Angelo Musco nel ruolo del protagonista. Una commedia grottesca sulla vacuità del successo e sull’inevitabile sfiorire di fama e giovinezza.
Costretto a smettere i panni di artista, l’illusionista Pompeo Darly, si ritrova a vendere cioccolata, caramelle durante quegli spettacoli teatrali che un tempo lo avevano invece visto nelle vesti di indiscusso sovrano. Nelle confezioni di cioccolato da lui vendute ecco però saltar fuori qualche esemplare di Feroce Saladino, dando il via all’abbandono di ogni freno inibitore da parte del pubblico presente. Non semplice fantasia cinematografica, ma pura verità, frammento di vita davvero vissuta…
Come da De Feo sottolineato, l’Italia, in quel 1937, era stata davvero attraversata da una caccia alla figurina in piena regola… Una frenesia da collezionismo che difficilmente si sarebbe mai più scatenata.
L’epopea del Feroce Saladino iniziava con il programma radiofonico I Quattro Moschettieri. Scritto da Aldo Spagnoli, la trasmissione altro non era che un radiosceneggiato, cantato e recitato, impegnato a portar in scena una versione piuttosto originale de I tre moschettieri di Dumas. Originale poiché infarcita, con chiaro intento comico, con una valanga di altri personaggi che nulla avevano mai avuto a che fare con il grande classico della letteratura: da Arlecchino a Stanlio e Olio, da Pierino all’Amico Giorgio.
Primo esempio di programma sponsorizzato, I quattro moschettieri aveva avuto il sostegno della Buitoni-Perugina, grande azienda alimentare italiana che vi aveva legato un concorso basato sulla raccolta di un centinaio di figurine distribuite all’interno delle sue confezioni di prodotti.
Raccolte tutte e cento, inviate nell’apposito album, l’utenza avrebbe poi potuto scegliere in dono quattro articoli tra:
- Un libro illustrato, I quattro moschettieri, tratto dalle avventure dell’omonimo programma radiofonico.
- Un chilo di cacao Perugina.
- Una scatola di cioccolati, mandorle o caramelle Perugina.
- Un pacco assortito di specialità Buitoni (per gli amanti della pasta, ovvio).
Ma l’offerta non terminava qui. Proprio per niente. Con ben centocinquanta album completi, il premio sarebbe infatti andato ben oltre al semplice pacchetto alimentare. Non più caramelle, cioccolata e spaghetti, bensì una Topolino in gomme e lamiere, quel modello di Fiat 500 esordito nelle concessionarie appena l’anno prima, il ’36, e subito entrato a far parte del sogno di ogni italiano. La leggenda ne vorrebbe consegnate circa duecento. E il Feroce Saladino? A causa di un ritardo nella consegna dei bozzetti da parte di Angelo Bioletto, disegnatore dell’intera serie, della figurina ne erano state stampate solo poche copie. Trovare il Feroce Saladino diventava così impresa più unica che rara... Talmente rara e ricercata che le forze di polizia si erano addirittura trovate costrette a dar la caccia a veri e propri falsari appoggiati da tipografie compiacenti. Non più falsari di banconote, ma di figurine… La collezione Buitoni-Perugina aveva goduto di un successo talmente vasto, che le sue figurine erano state perfino utilizzate in qualche caso come moneta di scambio per le normali compere giornaliere… Ancora uno sguardo allo spezzone della pellicola di Bonnard, e tutto appare ora più sensato. Era l’Italia del Feroce Saladino.
Mentre nel ’37, in risposta al caos maturato in seguito alla rarità del Feroce Saladino il Ministero delle Corporazioni si ritrovava costretto a promulgare un’apposita legge che imponesse di stampare il medesimo numero di esemplari per ogni altro eventuale futuro concorso, I quattro moschettieri esalava l’ultimo alito di vita. Era marzo. Il regime fascista non sembrava infatti più dell’idea di sopportare quella trasmissione radiofonica a suo dire così poco nazionalista e contraria allo spirito dell’autarchia, propensa com’era a portare in scena tutta quella sfilata di personaggi andati a prelevare al di là delle Alpi, con un occhio di riguardo per quei moschettieri caposaldo letterario di una Francia che aveva appena votato (e voluto) le sanzioni economiche contro un’Italia dalla comunità internazionale appena punita per il suo espansionismo in Etiopia.
La caccia al Feroce Saladino, con le sue folcloristiche parabole di una follia tutta italiana, è uno degli ultimi rigurgiti di spensierata e superficiale vitalità di un popolo che, da lì a tre anni, sarà violentemente spinto tra le braccia di una sanguinosa e inutile guerra. Il Feroce Saladino avrà davvero di che sguainar la sciabola.
Articolo gentilmente concesso da "Casa del Cappellaio Matto"
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