»Per San Valentin la lodola fa el nidin« È un antico proverbio della tradizione contadina veneta e ribadisce l’ancestrale convinzione anche anglosassone che alla metà di febbraio gli uccelli scegliessero il proprio partner per insieme nidificare… E poiché il 14 febbraio è il dì che segna la metà di quel mese, e la liturgia cristiana ha assegnato quel giorno al culto di San Valentino, il santo in questione si è ritrovato d’ufficio, amorevole protettore degli innamorati senza colpo ferire. La festa che celebra l’amore è altrettanto antica e fonda le sue radici ai tempi della romanità imperiale, nei Lupercalia: le cerimonie del miracolo della primavera traslata alla fecondità femminile quindi all’amore, che si celebravano il 15 febbraio ed erano originariamente dedicate a Pan, il dio pastore e al fauno Luperco.
Le cerimonie dei Lupercalia ne implicavano una speciale dedicata a Giunone consistente nel tirare a sorte nomi di pueri e puellae designati a formare coppie che tali sarebbero rimaste per tutto l’anno seguente, che secondo il calendario romano cominciava in marzo. La coppia si sarebbe scambiata pegni d’amore e lui l’avrebbe colmata di attenta e amorata protezione durante tutto l’anno. Alla fine del Medioevo, San Valentino e il suo rito innamorato erano già ben radicati in Inghilterra dove vigeva l’uso tra gli “amanti” di scambiarsi doni per l’occasione che ovviamente venivano chiamati valentines. Alla corte della regina Elisabetta i d’Inghilterra (1558-1603) i valentines per le signore erano doni soprattutto di guanti e calze, ancora prive a quel tempo di maliziose connotazioni e Valentine era chiamato il pretendente amoroso più o meno designato, che poteva regalare come valentine l’anello di promessa. Alla fine del XVIII secolo, e più precisamente verso il 1760 i costosi regali per la festa di San Valentino furono man mano sostituiti da doni simbolici, da lettere e sonetti amorosi e da foglietti incisi, acquerellati, intagliati al canivet – la laicizzazione dei santini devozionali intagliati anche nella pergamena – sempre manufatti e manoscritti.
Da questi discendono i valentines divenuti molto popolari in Inghilterra e in Olanda, salpati per l’America e per le colonie inglesi, incrementando i sentimenti romantici delle popolazioni anglofone, costituiranno due secoli più tardi, il raffinato argomento di un collezionismo cartaceo specialistico. L’età d’oro della loro produzione e della loro diffusione si dipana dalla metà del xix secolo fino a circa gli anni Trenta del Novecento – soprattutto negli Stati Uniti i più tardi – seguendo l’evoluzione dell’industria della carta, delle figure in cromolitografia, dei punzoni per le carte traforate e quando, negli anni Novanta dell’Ottocento si mise a punto anche la tecnica per la produzione dei libri pop-up – l’editore Schreiber in Germania fu il primo a pubblicare, nel 1887, Der Internationaler Circus, di Lothar Meggendorf – si diffusero a macchia d’olio, fantastici valentines pop up, piatti quando chiusi che si aprono a teatrino con anche fino a cinque quinte ornatissime e coloratissime. La diffusione dapprima locale e segreta – le ragazze stavano in casa e i giovanotti lasciavano i loro biglietti nell’apposita cassetta lasciata fuori dalla porta – si allargò in maniera esponenziale quando nel 1840 l’emissione del francobollo di 1 penny da parte delle poste del Regno Unito consentirono la spedizione in massa degli anonimi messaggi amorosi nei giorni immediatamente precedenti la data fatidica. E ancora in piena epoca vittoriana, quando i valentines raggiunsero l’apice della popolarità, custoditi in buste altrettanto decorate smisero di essere privilegiato retaggio degli innamorati per diventare il pensiero amorato da inviare, il 14 febbraio, a tutti i componenti del personale ambito affettivo. Con genitori, nonni, fratelli, sorelle, con la parentela più o meno allargata, ma anche con l’amica del cuore, il compagno di scuola, la ragazza della porta accanto, si scambiavano, il giorno di San Valentino, tenere testimonianze della circostanziale affezione. In Italia la celebrazione affettuosa di San Valentino, prima praticamente sconosciuta, venne importata nel secondo dopoguerra del Novecento quando si entrò in connessione con il costume americano. Sebbene non mancassero tradizioni rituali e procedure allusive per dichiarare e scambiare sentimenti amorosi, ci fu allora qualche editore, di cui qui si ricorda Mondadori che, da quell’epoca, pubblicò cartoncini augurali per l’anniversario amoroso, assecondando una formulazione adatta al gusto e al disegno del tempo e ispirandosi anche ai disegni di Raymond Peynet (1908-1999), l’ultimo cantore degli innamorati e l’inventore dei filiformi amoureux che hanno in coppia attraversato la seconda metà del Novecento. Il Museo conserva rarissimi e numerosi Valentie, ne vanta circa 300 esemplari senza considerare i biglietti d’amore tridimensionali.
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